
LORENZO LOVO, genius loci
LA VITA: I LUOGHI, E I MITI
Lorenzo Lovo è un pittore di ORIGINE E PASSIONE CONTADINA, nato e vissuto
a Quinto Vicentino quando Quinto era ancora un covo di case, un’appendice del
mondo, dietro l’argine tra Vicenza e Treviso. E’ andato presto a lavorare come ARGENTIERE
A VICENZA, che è una capitale dell’architettura mondiale. A Vicenza ha
frequentato la scuola di pittura di OTELLO DE MARIA, ma i temi della sua
ispirazione sono stati subito quelli della campagna con i cieli che vanno a
cadere dietro gli orizzonti, i personaggi incantati del posto: il contadino,
l’arrotino, la matrona rurale, gli animali e le case di terra cotta.
La sua pittura nasce come CRISI DEL RAPPORTO NATURALE COL
MONDO, e proprio per questo il messaggio più intimo è il grido di recupero
della maternità natale, dell’infanzia deviata, della lontananza violata.
L’ESTETICA
Dopo la scuola, aprendosi ALLA VITA CONTEMPORANEA, è andato sviluppando
la coscienza mitica e critica del proprio passato popolare, nella doppia Chiave
Classico-Romantica
- sia i temi della TRADIZIONE CLASSICISTICA VENETA tra la scena armonica
dei cieli e il tonalismo pittorico di GIORGIONE, TIZIANO E I BASSANO.
- sia i patemi della biografia periferica e solitaria angosciosamente
esposti a tutte le paure e le ansie della CATASTROFE CONTADINA.
Il risultato è una PITTURA DI GRANDE RACCONTO, intonata alla nostalgia di
un mondo che risogna l’estetica assoluta di una periferia quando era tutta
fatta di campi e nuvole, e, dietro, a strapiombo, e occulti s’indovinavano gli
orizzonti.
LE FORME E LE COSE
Poi
esistono LE COSE, e Lovo quando poi le vede, le guarda come fossero VITE ETERNE dell’universo,
-
sono in pianura, in collina, e in mezzo ai campi, in forme di casolari della
stessa materia dei campi, ma anche piante della stessa materia dei casolari, e
forme umane della stessa materia delle cose che stanno in giro per i campi:
- viveva
sui prati, la casa era sui prati. Per
questo adesso che è diventato grande e fa l’artista le fa così bene:
- Il
cavallo che beve alla bevarara in una
pozza del campo,
- o
dei ciclisti col tabaro che vengono
giù dalle colline curvi a sparire in fondo ai campi
- o
IL CONTADINO DEL POSTO CHE S’APPOGGIA A UNA PIANTA, è in piedi e guarda sempre
lo stesso punto del mondo, - la donna che sta sulla porta di casa del casolare,
è grande e si fa sulla soglia, traverson
fatto-su e avvolto sui fianchi: è la stessa donna di contrada di cui parla
anche Camon, LA FACCIA GRANDE E PIATTA COME UNA PIGNATTA, e gli occhietti come
due orifizi in cima alla fronte.
- le
cose hanno la stessa materia delle forme dell’eternità. L’ETERNITÀ È FATTA DI TUTTA LA SOLITUDINE che
hanno le cose di questo mondo di campi e di colline. E’ l’eternità dei
temporali e della luce che abita da sempre queste ARIE SCONFINATE E PERSE DIETRO LE CASE.
- In
ultima è Lovo che vive di questa eternità, della stessa solitudine cosmica dei
campi e della loro dispersione oltre tutti i confini.
FILOSOFIA DEL SENSO E DEL DESTINO
- non
è moderna, ma non è uno scandalo, proprio perché NON ESSENDO MODERNA CHE È
ETERNA
- la
paura che il mondo vada a franare è la stessa paura di QUESTO PITTORE CHE HA
PAURA DI ESSERE RIMASTO SOLO A DISPERARSI IN UN MONDO CHE STA PER FRANARE.
Queste
COSE sono eterne perché sono MITICHE COME tutte le cose della periferia, le
valli o i pendii, i campi o le diagonali in caduta dalle colline, e quel cielo
di rovine e di nuvole scure a dare messinscena ad un mondo che VIVE d’eternità,
e con la POESIA DELLO STESSO DESTINO.
SALVATORE FAZIA